Il contratto di espansione, introdotto dal Decreto Crescita nel 2019 e che sostituiva il precedente contratto di solidarietà, non è stato rinnovato dalla nuova legge di bilancio.
Il contratto di espansione era uno strumento valido, nonostante alcune problematiche di tipo burocratico e contrattuale e forse, anziché eliminarlo del tutto andrebbe ripensato e semplificato.
Questo è quanto sostiene Valentina Pepe, intervistata sul tema: «È del tutto probabile che il mancato rifinanziamento delle misure oggetto del contratto di espansione porterà ad una contrazione dei processi di ‘uscita’, in ragione dell’aumento del costo che i datori di lavoro dovranno sostenere per accompagnare i propri dipendenti alla pensione, i quali non avranno altri strumenti di uscita anticipata oltre quelli dell’isopensione introdotta dalla riforma Fornero, programmata fino al 2026, dell’assegno straordinario previsto dai fondi di solidarietà bilaterali e dell’APE sociale. Si tratta di misure non solo meno favorevoli per i lavoratori ma anche destinate, in molti casi, a particolari categorie di lavoratori individuati dalla legge, risultando pertanto di applicazione più ristretta. Allo stesso tempo, diminuiranno le risorse stanziate dalle imprese per l’assunzione di nuovo personale, con effetti a cascata sul ricambio generazionale, quindi sui tassi di occupazione e disoccupazione giovanile. Inoltre, la conseguente disincentivazione degli investimenti fatti dagli imprenditori nella formazione del personale avrà un ragionevole rischio di impatto sulla competitività delle aziende italiane. Il 2024, ad ogni modo, sarà l’anno in cui si potrà valutare efficacemente l’impatto dovuto alla mancata proroga del Contratto di Espansione sia in termini occupazionali che in termini di costi per gli imprenditori, senza poter escludere allo stato un ripensamento da parte del Legislatore».
L’impatto della sospensione del contratto di espansione sarà inevitabile, ma le sue conseguenze andranno valutate necessariamente a posteriori.
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