Pubblichiamo l’articolo scritto dall’avvocato Fernando Pepe per Diritto 24
Con un recentissima sentenza la Consulta ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, numero 4) del codice di procedura civile, e 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd. Legge Fornero), sollevata dal Tribunale ordinario di Milano…..in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione….e… in riferimento anche all’art 3 Cost.”.
Con tale pronunzia i Giudici Costituzionali hanno risolto un’annosa disputa che aveva dato luogo, in dottrina e giurisprudenza, nel silenzio dell’art. 1, comma 51, della cd. Legge Fornero, a letture ed applicazioni della norma stessa contrastanti e dissonanti.
La Consulta ha ora <sposato>, ed avallato, quell’interpretazione che ritiene ammissibile l’attribuzione della cd. fase di opposizione del giudizio di impugnazione del licenziamento (ex art. 1, comma 51, L. 92/2012) allo stesso Magistrato che ha già conosciuto e deciso la prima fase di tale giudizio pronunziando l’ordinanza prevista dall’art. 1, comma 49, della stessa Legge.
Seguendo un articolato iter logico, i Giudici Costituzionali sono quindi giunti a concludere che tali due fasi, la prima e quella di opposizione, costituiscano un unico grado di giudizio nell’ambito del quale, pertanto, la fase di opposizione non rappresenta un <grado d’impugnazione> e non si sostanzia in una revisio prioris instantiae.
La Consulta, nella sentenza in esame, ha peraltro premesso che tale interpretazione si sarebbe comunque già “consolidata ….in termini di diritto vivente, per effetto dell’intervento ermeneutico della Corte di cassazione a sezioni unite civili (ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674), poi ribadito dalla sesta sezione civile –sottosezione L (ordinanza 20 novembre 2014, n. 24790) e dalla sezione lavoro (sentenze 17 febbraio 2015, n. 3136 e 16 aprile 2015, n. 7782) della stessa Corte”.
In proposito, nella sentenza n. 78/2015, si richiama un passaggio dell’ordinanza 19674/2014 delle Sezioni Unite della Cassazione ove si legge che, nel rito impugnatorio dei licenziamenti introdotto dalla L. 92/2012, “…dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata –mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale…ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere alla luce dei soli atti di istruzione indispensabili- il procedimento si riespande, nella fase dell’opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti”.
In tale ottica quindi la fase di opposizione ex lege Fornero non costituirebbe una revisio prioris instantiae della fase precedente, ma solo una “prosecuzione del giudizio di primo grado”, cosicchè non troverebbe applicazione l’art. 51, comma primo, n. 4 del codice di procedura civile ove è previsto l’obbligo di astensione del giudice che ha conosciuto della causa “come magistrato in altro grado del processo”.
La sentenza oggi in esame valuta e nega quindi l’eventuale sussistenza di profili di incostituzionalità, ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost., come evidenziati nelle ordinanze di remissione del Tribunale di Milano, sotto il profilo della <esclusione della imparzialità del giudice>.
La Corte Costituzionale, richiamando la propria sentenza n. 460 del 2005 (relativa all’applicazione dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. nell’ambito del giudizio fallimentare), ha, quindi, in proposito, concluso che sussiste l’obbligo di astensione del giudice quando il procedimento svolgentesi avanti al medesimo magistrato sia solo <apparentemente bifasico>, ma in realtà si articoli in due distinti momenti “il secondo dei quali assume il valore di vera e propria impugnazione, e acquista, pertanto, i caratteri essenziali di <altro grado del processo>”.
Tale non sarebbe il caso del giudizio introdotto dalle norme in esame della Legge Fornero. Alla luce di queste considerazioni la Corte Costituzionale esclude che la fase di opposizione ex art. 1, co. 51, L. 92/2012 sostanzi una riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per la pronunzia dell’ordinanza oggetto di opposizione, di tal ché la fase di opposizione stessa potrebbe condurre ad un <esito differente> del giudizio.
La Consulta, sulla base di tutto quanto premesso, quindi, non solo ritiene ben ammissibile, e perfettamente conforme ai richiamati articoli della Costituzione, l’attribuzione della fase di opposizione ex L. Fornero allo stesso magistrato che ha pronunziato l’ordinanza <impugnata>, ma addirittura ritiene che ciò risulti “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata”. La sentenza in esame dunque così conclude: “il fatto che entrambe le fasi di detto unico giudizio possano essere svolte dal medesimo magistrato non confligge con il principio di terzietà del giudice”.
Le conclusioni cui è pervenuta la Consulta nella pronunzia n. 78/2015 paiono non essere in sintonia con i principi in precedenza affermati dalla stessa Corte Costituzionale (sent. 387/99) in riferimento alle fasi in cui si articola il giudizio ex art. 28 della Legge 300/70. In proposito è, infatti, appena il caso di ricordare che nella suddetta sentenza n. 387/99 la Consulta, ribadendo il principio di necessaria imparzialità e terzietà della giurisdizione, ha statuito che “esigenza imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, è solo quella di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l’identico itinerario logico precedentemente seguito; sicché, condizione necessaria per dover ritenere una incompatibilità endoprocessuale è la preesistenza di valutazioni che cadano sulla stessa res iudicanda (cfr. sentenza n. 131 del 1996)…..”.
L’assunto della Corte Costituzionale, contenuto nella sentenza n. 78/2015 oggi in esame, secondo cui l’assegnazione della fase di opposizione allo stesso magistrato sarebbe “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo per il profilo della sua ragionevole durata” lascia comunque non risolti i dubbi e le criticità sottesi all’applicazione della norma della L. 92/2012 censurata e tacciata d’incostituzionalità.
Questo anche perché il dato statistico testimonia che il tasso di riforma delle ordinanze emesse all’esito della prima fase ex L. Fornero risulta sostanzialmente esiguo nell’ipotesi in cui anche la fase di opposizione sia attribuita allo stesso magistrato
Solo il dato statistico ulteriore che si svilupperà in merito all’applicazione dell’art. 1, comma 51, della L. 92/2012 potrà confermare o contrastare l’argomentazione, posta dalla Consulta a fondamento della sentenza in esame, secondo cui la norma stessa -contestata sotto il profilo di costituzionalità- sia effettivamente “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata”.