Applicazione dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi: facile a dirsi, difficile a farsi.

Di seguito l’articolo a cura di Valentina Pepe a commento della sentenza della Corte d’Appello di Firenze sezione lavoro, 17/06/2019, n. 546 in tema di licenziamenti collettivi ed in particolare sull’applicazione dei criteri di scelta, pubblicato da Diritto24.

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Una recente pronuncia del Tribunale di Firenze (n.546 del 17/06/2019) inserisce un nuovo tassello nel complesso mosaico della disciplina dei licenziamenti collettivi, con specifico riferimento al dibattuto tema dell’individuazione della platea dei lavoratori coinvolti nelle riduzioni di personale.

Il caso esaminato dalla Corte trae origine dall’impugnativa del licenziamento di una dipendente a tempo indeterminato – assunta con mansioni di cameriera ai piani – nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo ex l. n. 223/91, nella quale il datore di lavoro deduceva l’esubero dei dipendenti addetti ai servizi di facchinaggio e pulizia camere in ragione della cessazione della gestione diretta di tali servizi, in quanto appaltati a società esterna.

La lavoratrice impugnava il licenziamento deducendo, tra l’altro, la violazione dei criteri di scelta e della disciplina procedimentale relativa all’all’individuazione dei lavoratori da licenziare, tanto in riferimento alla comunicazione di avvio della procedura ex art. 4 comma 3 L. 223/1991 che in relazione alla comunicazione conclusiva ex art. 4 comma 9.

La Corte d’appello di Firenze, confermando la decisione del Tribunale, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato per violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ex art. 5 l. 223/91.

La pronuncia in commento presenta molteplici profili di interesse. In primis nella parte in cui definisce la procedura di licenziamento collettivo come una “procedura aggravata” a carico del datore di lavoro, giustificata dalla necessità di operare un bilanciamento fra due contrapposti interessi: da un lato, l’esercizio del potere datoriale di adeguare la propria struttura organizzativa conformemente alle esigenze aziendali; dall’altro, l’esigenza di tutela dei lavoratori rispetto a licenziamenti evitabili o arbitrari, rimessi alla discrezionalità del datore di lavoro. A tal fine, precisa la Corte, decisiva è la disciplina dei c.d. criteri di scelta, che costituiscono il metro attraverso cui il datore di lavoro è chiamato a individuare i lavoratori concretamente coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo. In particolare l’art. 5 comma 1 L.223/1991 dispone che: “l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2, ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative”.

 Ciò premesso la Corte d’appello – rifacendosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto – ammette la possibilità di limitare la platea dei dipendenti tra i quali individuare i destinatari del provvedimento di riduzione del personale ad una unità produttiva o ad uno specifico settore aziendale solo a condizione che il datore di lavoro, nella comunicazione di apertura della procedura, ne indichi le oggettive ragioni organizzative e produttive, esplicitando altresì i motivi che impediscono di ovviare ai licenziamenti con il trasferimento dei dipendenti in esubero ad altre unità produttive (Cass.4678/2015).

Da ciò consegue che, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, le esigenze tecnico-organizzative dettate tra i criteri di cui all’art. 5, comma 1, l 223/91, riferite al complesso aziendale, possono costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, solo a condizione che il datore indichi, già nella comunicazione inziale della procedura (i) sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione (ii) sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, così consentendo alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 22655/2012, Cass.22178/2018).

Qualora il datore di lavoro assolva a questi oneri di specificazione, sarà quindi onere del lavoratore allegare e provare la sua fungibilità nelle diverse mansioni (Cass.203/2015, Cass.18190/2016).

Nel caso concreto, invece – ha ritenuto la Corte d’appello – la società ha individuato i lavoratori in esubero con riguardo ai soli addetti ai reparti soppressi, senza alcuna specifica motivazione circa le ragioni che impedivano di ovviare ai licenziamenti con il trasferimento dei dipendenti in esubero ad altri settori aziendali e nulla argomentando in ordine alla autonomia di detti reparti, né all’impossibilità di collocazione dei lavoratori in altri settori per l’infungibilità delle mansioni svolte. Da qui l’illegittimità del licenziamento intimato.

Se i principi espressi dalla Corte d’appello di Firenze in tema di applicazione dei criteri di scelta appaiono chiari nella loro enucleazione formale, sotto il profilo pratico applicativo, invece, l’orientamento giurisprudenziale in commento risulta di non facile applicazione e grava le imprese coinvolte nei processi di riduzione del personale di un onere di individuazione dei lavoratori da licenziare spesso non agevole: in particolare, il concetto di “fungibilità” – intesa come potenziale idoneità del lavoratore in esubero a svolgere altre mansioni – risulta, nella pratica, di non facile individuazione ed applicazione e frequente motivo di impugnativa giudiziale.

Insomma, la pronuncia in commento fa solo apparente chiarezza sul tema assai dibattuto dell’applicazione in concreto dei criteri di scelta nei licenziamenti collettivi, lasciando in realtà ancora parecchio spazio a interpretazioni soggettive e a contrasti in sede applicativa.